venerdì 30 aprile 2010

Il Dna svela che le orche sono (almeno) tre specie diverse

[ 26 aprile 2010 ] Aree protette e biodiversità


Il Dna svela che le orche sono (almeno) tre specie diverse



LIVORNO. Lo studio "Complete mitochondrial genome phylogeographic analysis of killer whales (Orcinus orca) indicates multiple species", pubblicato recentemente su Genome Research, svela che le orche non appartengono ad una sola specie: i campioni dei tessuti di 139 orche provenienti da tutto il mondo ha permesso di capire che ci sono almeno tre specie distinte di orche. I biologi sospettavano da tempo che le diverse colorazioni varianti tra il nero e il grigio e le forti differenze di dieta delle varie popolazioni fossero più di sottili differenze. «Per esempio, una delle nuove specie di orche dell'Antartide si ciba di foche, mentre un'altra mangia pesce - ha spiegato Phillip Morin del Southwest Fisheries Science Center della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) di La Jolla, California, che ha condotto la ricerca - Il patrimonio genetico dei mitocondri nelle orche, come negli altri cetacei, cambia pochissimo nel corso del tempo, il che rende difficile rilevare se si sia evoluta qualsiasi differenziazione recente delle specie senza guardare l'intero genoma. Ma utilizzando un metodo relativamente nuovo chiamato "highly parallel sequencing" abbiamo mappato l'intero genoma dei mitocondri delle cellule da un campione di orche a livello mondiale, siamo riusciti a vedere differenze chiare tra le specie». Secondo i ricercatori statunitensi anche altri tipi di orca potrebbero essere specie o sottospecie distinte, ma ci vorranno ulteriori analisi per esserne sicuri.

Per ora le tre differenti orche dell'Antartico sono designate con nomi provvisori: Type A; Middle; Type B; Bottom ; Type C designata da Pitman and Ensor, J. Cetacean Research and Management.

Il Typo-B "pack ice killer whale" dall' Antartico si distingue per la grande macchia con due tonalità di grigio vicina agli occhi. E' specializzata nella caccia alla foche, che spesso buttano giù dal ghiaccio galleggiante per catturarle.

Type-A "killer whale from the Antarctic", nota per la netta colorazione bianco e nera. Vive in mare aperto e si nutre principalmente di altri cetacei.

Il Type-C "Ross Sea killer whale" dell'Antarctico si differenzia per una macchia oculare molto ridotta e angolata. E' la più piccola dei 3 tipi di orche antartiche e si ciba di pesci che si trovano soprattutto sotto la banchisa polare, approfittando soprattutto dello scioglimento dei ghiacci durante l'estate australe.

La NE Pacific Transient killer whale dell'Alaska ha una colorazione ed un aspetto molto simile all' Antarctic Type A killer whales, ma è geneticamente distinta da loro. Le orche "Transient" si nutrono di tutti i tipi di mammiferi marini, tra cui altri cetacei, delfini e foche e leoni marini.

I ricercatori della Noaa che hanno sequenziato il Dna mitocondriale delle orche che si trasmette con poche modifiche da madre a figli, spiegano che «Le orche (Orcinus orca), attualmente comprendevano una sola specie cosmopolita, con una dieta diversificata. Tuttavia, gli studi degli ultimi 30 anni hanno rivelato popolazioni di "ecotipi" simpatrici con discrete differenze in preferenze di prede, morfologia e comportamenti. Anche se questi ecotipi evitano interazioni sociali e non sono noti per incrociarsi, gli studi genetici finora hanno trovato livelli estremamente bassi di diversità nel controllo della regione mitocondriale, e pochi chiari modelli filogeografici in tutto il mondo. Questo basso livello di diversità è probabilmente dovuta ai bassi tassi di mutazione mitocondriale che sono comuni per i cetacei. Usando le orche come caso di studio, abbiamo sviluppato un metodo "readily sequence", assemblando e analizzando completamente il genoma mitocondriale da un gran numero di campioni, per valutare con maggiore precisione filogeografia e i tempi di divergenza stimati. Questo rappresenta un importante strumento per la gestione della fauna selvatica, non solo per le orche ma per molti taxa marini. Abbiamo usato high-throughput sequencing per rilevare tutte la variazioni del genoma mitocondriale di 139 campioni del Nord Pacifico, dell'Atlantico del nord e degli oceani del sud. L'analisi filogenetica ha indicato che ciascuno degli ecotipi noto rappresenta un clade fortemente sostenuto con tempi di divergenza che vanno da circa 150.000 a 700.000 anni fa. Pensiamo di poter indicare che i tre cosiddetti ecotipi possano essere elevati interamente a specie, e che i restanti tipi, possano essere riconosciuti come sottospecie in attesa di ulteriori dati. La definizione di adeguate denominazioni tassonomiche facilitano notevolmente la comprensione degli impatti ecologici e le esigenze di conservazione di questi importanti predatori marini. Prevediamo che le phylogeographic mitogenomic diventerà un importante strumento per migliorare le statistiche della filogeografia e per fare stime più precise dei tempi di divergenza».

Le orche come specie singola non sarebbero da considerare una specie in pericolo, ma alcune popolazioni di questi cetacei sono a forte rischio e godono di forme di protezione, la stessa Noaa ha designato una popolazione di orche che vive nel Pacifico al largo della costa dello stato di Washington, come in via di estinzione. La nuova suddivisione in più specie può modificare questa situazione e spingere ad una maggiore salvaguardia di quelle che fono ad ora si consideravano poco più di "tribù".



http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=4560

IL DISASTRO DELLA DEEPWATER HORIZON

MAREA NERA INARRESTABILE
"80% FINIRÀ SU COSTE"



La 'macchia nera' ha oramai raggiunto la costa della Louisiana. La guardia costiera americana, scrive la BBC, sta cercando proprio in queste ore di confermare le testimonianze di chi ha visto il petrolio fuoriuscito dalla piattaforma della BP toccare terra. Il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, nel frattempo ha dichiarato lo stato di emergenza e chiesto l'intervento federale per dislocare 6mila soldati della Guardia nazionale sul territorio interessato dalla catastrofe ambientale.

BP: "IL CONTO È NOSTRO" Il conto per il disastro causato dall'incidente alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico sarà a carico della Bp: lo ha detto un portavoce dell'azienda, Nigel Chapman, interpellato dalla Bbc. «Il conto è nostro - ha spiegato - Tutte le risorse dell'azienda sono concentrate su questo evento, perchè venga gestito rapidamente, in particolare per difendere la costa al meglio possibile. Abbiamo squadre di tecnici al lavoro, equipaggiamento in quantità. Il fine principale, al momento, è proteggere l'ambiente: per questo abbiamo personale e equipaggiamento lungo la costa, per proteggerla. Lo sforzo è ora concentrato lì». Negli ultimi anni la BP è stata coinvolta in diversi incidenti e controversie, e ha dovuto pagare spese ingenti di risarcimento, nonchè multe (solo l'anno scorso 2 milioni di dollari per equipaggiamento non a norma in campi petroliferi lungo il North Slope, in Alaska). Ma secondo gli esperti - che non indicano cifre - il conto potrebbe essere assai più salato, questa volta: oltre alle spese di pulizia, che già ora ammontano a 6 milioni al giorno, Bp potrebbe dover affrontare multe e costi per garantire una maggior sicurezza delle piattaforme che gestisce nel Golfo del Messico. Poi ci saranno i costi legali: sono già scattate due azioni legali legate all'esplosione della Horizon e i possibili danni all'industria per la pesca dei gamberi.

GREENPEACE: "MEDITERRANEO A RISCHIO" Dopo la Louisiana, ora «anche il Mediterraneo è a rischio» marea nera in seguito alle troppe autorizzazioni per trivellazioni per l'estrazione di petrolio, soprattutto nell'Adriatico e ora anche a largo delle isole Tremiti. Questa la denuncia di Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace. «Non basta l'ultima tragedia in Louisiana - spiega Giannì - decenni di maree nere non ci hanno insegnato niente: in Italia, il governo continua a rilasciare autorizzazioni a valanga, soprattutto in Adriatico e, da ultimo, anche al largo delle isole Tremiti». Secondo Giannì «ormai è tempo di dedicarsi davvero alle energie rinnovabili e all'efficienza energetica. Così, invece di uccidere i lavoratori, potremo creare migliaia di posti di lavoro e raggiungere una maggiore indipendenza energetica». L'unica soluzione, conclude il direttore delle campagne dell'associazione, è «smetterla con le esplorazioni offshore e avviare una decisa rivoluzione energetica per liberarci dalla schiavitù del petrolio e dai pericoli del trasporto degli idrocarburi».

RECUPERO FLORA E FAUNA IN 1-2 GENRAZIONI Se gli interventi di arginamento, pulitura e ripristino ambientale vengono fatti tempestivamente, i danni provocati da petrolio e idrocarburi a flora e fauna marina si recuperano nel giro di una-due generazioni per ciascuna specie: da 1 giorno della farfalla a 10 anni della tartaruga». A spiegarlo è Ennio Marsella, geologo marino del Cnr. «Il nostro pianeta ha una grande capacità di autorigenerazione - precisa - e se si agisce subito, i danni a piante ed animali nel mare sono limitati nel tempo, nel senso che dopo una o due generazioni gli effetti si perdono». Le tragedie dei disastri ambientali verificatesi negli ultimi decenni hanno consentito di mettere a punto ed elaborare nuovi strumenti di contrasto e riparazione dei danni. «La maggior parte delle azioni - continua - viene fatta nell'emergenza, cercando di arginare la marea nera con diaframmi galleggianti, diluenti, schiumogeni e roghi. Dopo di che si procede ad una pulitura meccanica, con tanto di spazzola e sapone, di tutto ciò che è stato toccato dal petrolio. O chimica, con prodotti per l'emulsione della pellicola lasciata dal petrolio». In caso di forte inquinamento, si adoperano dei «batteri, brevettati negli ultimi anni, che per sopravvivere si cibano di petrolio». Certo, se una massa di petrolio come quella che sta interessando ora la Lousiana, conclude Marsella, «dovesse incontrare una di quelle chiazze di spazzatura che galleggiano nell'Oceano, i problemi sarebbero ben più grossi».

CASA BIANCA: «STOP A TRIVELLAZIONI» La Casa Bianca ha annunciato lo stop alle trivellazioni petrolifere in nuove aree fino a che non verrà verificata la causa che ha determinato la fuoriuscita di greggio nel Golfo del Messico. Il consigliere della Casa Bianca David Axelrod ha annunciato il cambio di rotta alla Abc: «Non è stata autorizzata nè sarà autorizzata nessuna nuova trivellazione finchè non scopriamo quel che è successo e se è successo qualcosa di unico e di prevenibilè, ha detto Axelrod a Good Morning America. Axelrod è stato categorico: «Nessuna trivellazione in nuove aree andrà avanti finchè non sarà stata fatta una revisione adeguata di quel che è successo alla Deepwater Horizon e quel che è proposto altrove». Osteggiato dagli ambientalisti, il presidente Barack Oabma aveva annunciato alcune settimane fa un nuovo piano di trivellazioni al largo delle coste atlantiche e del Golfo del Messico per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio straniero.

«PRIMA VOLTA SVERSAMENTO A 1.500 KM DI PROFONDITÀ» Quella della marea nera nel Golfo del Messico «è una tragedia in atto che durerà tantissimo ed è la prima volta al mondo che lo sversamento di greggio avviene a oltre 1.500 metri di profondità». Lo ha detto Ezio Amato già responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi in forza alle Nazioni Unite. Il pericolo, ha riferito Amato, è quello di «intaccare un ecosistema per lo più sconosciuto alla scienza in un ambiente che un 'eterno imperturbatò, dove non esiste nè giorno nè notte. Quindi si possono immaginare disastri incommensurabili che non sapremo mai».

ESPERTO: «80% SULLE COSTE» La marea nera nel Golfo del Messico «è inarrestabile, sulle coste si riverserà l'80% di greggio». Lo ha detto Ezio Amato già responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi in forza alle Nazioni Unite. «L'80% di greggio si riverserà sulle coste, solo al massimo un 10-20% verrà recuperato dalla superficie», ha detto Amato, il ricercatore che ha partecipato lo scorso autunno alle indagini sulla nave dei veleni a largo delle coste calabresi cosentine. I disperdenti «sono solo maquillage» in questa situazione, e per le coste, ha detto Amato, «non c'è più niente da fare», mentre il problema più grande è sul fondo dove occorre assolutamente fermare la fuoriuscita del greggio. «Si tratta di un'operazione di robotizzazione estremamente difficile a una profondità di 1.500 metri. Il petrolio - ha spiegato Amato - non esce da un pozzo come quello dell'acqua ma da minuscole porosità della roccia dalle quali il sistema di pompaggio con la pressione succhia il petrolio. Quindi i robot, filoguidati, con telecamere, sonar e due braccia manipolatrici che avvitano e svitano è come se dovessero rimettere un tappo a una bottiglia di champagne».

L'ARRIVO Onda dopo onda la marea nera della Bp è arrivata a lambire le coste della Louisiana: i primi tentacoli di petrolio, le propaggini avanzate della gigantesca macchia di greggio fuoriuscita da un pozzo sottomarino del colosso britannico dell'energia, sono state avvistate al tramonto di ieri sulle coste del Delta del Mississippi in Louisiana. La perdita dopo l'incidente della Deepwater Horizon si era rivelata ieri cinque volte più grave di quanto inizialmente previsto, con conseguenze che potrebbero eguagliare o superare quelle del disastro Exxon Valdez del 1989. Il presidente Barack Obama, costantemente informato, ha chiamato i governatori delle aree costiere a rischio: oltre alla Lousiana, il Texas, l'Alabama, il Mississippi, la Florida. I pescatori del Delta hanno passato ieri e stanotte a raccogliere gamberi prima che l'onda viscosa rosso-arancio del greggio li intrappolasse e li uccidesse tutti. La marea nera potrebbe diventare il peggior disastro ambientale in decenni per gli Stati Uniti: a rischio sono centinaia di specie di pesci, uccelli e altre forme di vita di un ecosistema particolarmente fragile e già sottoposto a traumi al passaggio dell'uragano Katrina. A New Orleans, la città devastata dal ciclone del 2005, ieri l'aria era diventata pesante per i vapori acri del greggio: sono stati effettuati test per verificare le denunce dei residenti che hanno intasati i centralini comunali e della protezione civile. Il ministro della Sicurezza Interna Janet Napolitano e la collega dell'Epa Lisa Jackson oggi raggiungono il ministro dell'Interno Ken Salazar che è già sul posto. Per la casa Bianca, commenta oggi il Washington Post, la marea nera presneta un problema non solo ambientale ma anche politico: il presidente solo qualche settimana fa aveva dato vita a un impopolare, tra gli ambientalisti, programma di trivellazioni offshore. Le preoccupazioni dei verdi si sono i questi ultimi giorni rivelate fondate. Obama ha promesso ai governatori ogni risorsa disponibile, Bobby Jindal, della Louisiana, ha chiesto fondi per mobilitare 6.000 uomini della Guardia Nazionale. Tocca a Bp, le cui azioni hanno perso ieri l'8 per cento sui mercati, in prima battuta contenere il disastro, ma ora che la marea nera ha toccato terra, le risorse private non bastano.

PRESTIGIACOMO: «ENORME PREOCCUPAZIONE» L'Italia segue con «un'enorme preoccupazione» la vicenda della macchia di petrolio che lambisce le coste degli Stati Uniti. Lo ha detto il ministro dell'Ambiente Stefania Presitigiacomo, che da ieri è in Cina per rappresentare l'Italia all' apertura dell' Expo Universale di Shanghai. «La stiamo seguendo a distanza e c'è poco che possiamo fare, di solito interveniamo con i nostri mezzi ma in questo caso siamo fuori dalle nostre acque territoriali. La seguiamo con enorme, enorme preoccupazione, perchè abbiamo visto che c'è stato un ritardo negli interventi e i danni all'ambiente potrebbero essere giganteschi». «Ci auguriamo che la marea nera si possa contenere e risucchiare», ha concluso il ministro.

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